Le cime di ormeggio di Emma stridono sulle bitte del porto di Avatu mentre sottocoperta c’è un gran andirivieni: “Mi passi le federe pulite?, anyone hungry? let’s put on some vegetables! Hai visto dov’è il mio telefono? Shall we open some beer?” E la serata scorre così tra domande, risposte e risate.
La nuova crew inizia ad ambientarsi su Emma, è la sera del 19 agosto, abbiamo appena salutato la mia famiglia e recuperato all'aeroporto di Rarotonga Agostino e la coppia di olandesi, Max e Lara, conosciuti alle Galapagos. L’atmosfera è già rilassata e familiare. Dall’altra parte del pozzetto il mio sguardo incontra quello di Giacomo e, nonostante la stanchezza e le fatiche di quei giorni, ci sorridiamo con complicità: sappiamo che ci aspettano delle belle avventure con questa nuova crew.

I giorni che seguono la partenza da Rarotonga e l’arrivo a Palmerston Island si possono riassumere con l’aggettivo rocambolesco. Emma, che non ci aveva dato grossi problemi tecnici per tutta l’estate, decide di metterci alla prova proprio mentre cerchiamo di mollare gli ormeggi. Non vi sto ad annoiare con tutte le cose che iniziano a non funzionare, ma, tra queste, c’è anche il motorino del salpancora che ancora oggi non funziona, e quindi alè prima braccio sinistro e poi braccio destro, grazie a un meccanismo di leve l’ancora viene su a mano pian pianino. Alla fine riusciamo a rimetterci insieme e a salpare la mattina del 21 agosto, come da tabella di marcia. Dopo due giorni di navigazione, ecco che davanti a noi vediamo i contorni di una delle isole più remote delle Cook Islands: Palmerston Island.
Come si evince dalla cartina qui sopra, l’isola di Palmerston è veramente nel mezzo del nulla. Non esistono voli o traghetti che la collegano alle altre isole perché è troppo lontana per avere una linea di trasporto costantemente attiva e anche perché attualmente ci sono 28 persone che abitano stabilmente sull’isola. Ci hanno poi raccontato i fratelli Marsters che l’isola ha visto anni più popolosi e che nel suo periodo migliore vi abitavano 60 persone. Tutte le famiglie discendono da William Marsters che approdò sull’atollo a seguito di un naufragio con le sue due mogli (cui se ne aggiunse poi una terza). La progenie del capostipite Marsters e delle sue mogli, divisa in tre grandi famiglie, costituisce attualmente la popolazione di Palmerston, dove appunto tutti si chiamano Marsters.
La principale attività degli abitanti è la pesca. Poi il governo ha strutturato diversi progetti per cui le persone dell’isola lavorano, oltre ai lavori di mantenimento delle strutture, delle strade, dei sistemi di energia elettrica Abbiamo anche conosciuto il vigile dell’isola e l’infermiera, personaggi chiave dell’isola.. Ogni famiglia coltiva qualche verdura, la frutta cresce sugli alberi e tutti hanno qualche maiale e qulche pollo. Tutto il resto arriva su una nave cargo che passa ogni 4 mesi e che porta cibo, persone e oggetti.


Il 23 agosto, buttiamo le nostre due ancore su questa piccolissima zona di bassa profondità fuori dalla barriera corallina, che di solito ci protegge. Visto che i prossimi giorni il meteo prevede 30 nodi sostenuti, ricaviamo da una testa di corallo abbastanza grande un corpo morto (espressione nautica che si usa per indicare un pezzo di cemento o di roccia adagiato sul fondale a cui si legano le boe e poi le barche), così possiamo dormire sonni tranquilli senza rischiare di svegliarci disancorati in mezzo all’Oceano. Mentre Giacomo è impegnato a realizzare ormeggi creativi, mi butto per andare a invitare a cena le altre due barche ormeggiate in bilico sulla barriera come noi. La serata diventa molto più caotica e colorata del previsto. L’equipaggio dell’altra barca è composto da 4 scozzesi che si presentano a cena con una bottiglia di rhum e tantissime storie da raccontare, infatti hanno girato il mondo ed erano già passati per Palmerston anni prima. Nasce subito una grande amicizia e una bella complicità.


I giorni seguenti, ospiti della famiglia dei Marsters, giriamo l'atollo in compagnia dei bambini dell’isola, facciamo qualche bagno e facciamo delle lunghe chiacchierate con gli abitanti dell’isola e alla fine riusciamo a farci invitare alla messa della domenica e poi a pranzare tutti insieme.Guardo fuori dalla finestra della piccola chiesa prefabbricata e ci sono le palme che danzano al ritmo delle potenti voci delle donne dell’isola, bellissime nei vestiti lunghi e sotto i loro cappelli. Anche gli uomini sono molto eleganti, tutti in giacca nonostante il caldo e con i capelli legati. Anche noi ci siamo vestiti eleganti e abbiamo preparato una torta da condividere durante il pranzo. I bambini ridono mentre la tagliamo e ci chiedono di chi è il compleanno. A quanto pare le torte si mangiano solo per i compleanni su questo pezzetto di terra nell’Oceano.



La cosa che più mi colpisce, una volta tornati in barca, è come queste persone possano vivere in un contesto così remoto eppure essere al tempo stesso così connessi a tutto il resto del mondo. Da qualche tempo, infatti, hanno anche Starlink che permette loro di essere sempre online, e quindi li vedi che, dopo essere usciti a pescare i pesci pappagallo della laguna, si siedono al tavolo e guardano gli stessi video su YouTube che guardiamo anche noi, videochiamano i parenti che si sono trasferiti a Rarotonga o in Nuova Zelanda e scrollano FB e Instagram e mi chiedo come facciano a vivere in questa contraddizione: essere isolati e al tempo stessi connessi. Ma poi ci penso e capisco: queste persone e questi popoli mi stanno insegnando a imparare a vivere la vita con semplicità, conoscendo il proprio lavoro, sapendo di lavorare per il bene della propria isola e della propria comunità, senza farsi troppe prendere dalla foga di voler fare mille cose o di avere ambizioni di incidere sul mondo. Il loro stile di vita è brutalmente diverso da quello in cui sono cresciuta, il contesto della città dove tutto è veloce e le possibilità sembrano sempre essere migliaia, e dove ci sono così tante opzioni e alternative che alla fine non vogliamo mai scegliere, presi da quella paura di sbagliareo ancora peggio, stare perdendo tempo. Spesso mi sale quella sensazione di ansia da performance, del: “ ma cosa sto facendo in mezzo al mare? Stai eprdendo tempo ed energia che postresti investire nel costruire una carriera, nel lavorare a qualche progetto importnante e invece sei qui a vellegiare nel Pacifico, persa tra le onde e le isole” respiro e penso alla pace negli occhi degli abitanti di questa isoletta.
Il vento non sembra darci tregua, ma Agostino ha un aereo da prendere a Tonga e così decidiamo di partire lo stesso, sotto una pioggia battente e raffiche di 30 nodi che non ci danno pace. Se siete stati attenti, vi ricorderete che il nostro salpancora ha dato forfait, e quindi, tra onde e urla varie, tiriamo tutto su a mano, pregando di riuscire a far salire entrambe le ancore. L’operazione dura quasi due ore, al termine delle quali usciamo vittoriosi: due ancore a bordo, con relativo parabordo/grippiale e nessun dito schiacciato o rotto. Abbiamo perso solo una catena ben messa che gli isolani potranno riciclare per creare una boa che garantiamo essere sicurissima!
Siamo in mare, apriamo un po' di randa e un po' di fiocco e Emma vola tra le onde e tra le raffiche di vento. Sarà una navigazione abbastanza variegata, tra pioggia, perturbazioni e cambi di vento, ma la crew è fortissima e sono entusiasti di vivere per la prima volta nella loro vita un long passage, infatti, per questioni di meteo, decidiamo di non fermarci a Niue, isola a metà strada tra Palmerston e l’isola di Tongatapu, e così navighiamo non stop per 7 giorni, portandoci a casa circa 800 miglia nell’Oceano Pacifico.



“Group two be ready, yea Lucy go starboard go go!” Saltiamo in acqua e iniziamo a nuotare più forte che possiamo, mi giro a controllare dove sono Giacomo e Ago, li vedo nuotare alla mia destra. Davanti a me seguo le pinne nere di Lucy, la nostra guida. Dopo 5 minuti di nuoto sostenuto vedo che si ferma, la raggiungo e guardo meglio. Dietro di lei sbuca dal blu una balena. Tocco la spalla di Lucy perché non riesco a credere ai miei occhi. Davanti a noi, a pochi metri, nuota un giovane esemplare di Humpback whale di circa 9 metri, che si mette a giocare girando su sé stessa. Lucy mi dà l’ok e iniziamo a nuotare accanto a lei. Sto vivendo il minuto più emozionante della mia vita. Quando ritorniamo in barca, siamo al settimo cielo e senza parole per riuscire a descrivere le emozioni provate.
Ci buttiamo altre tre volte durante la mattinata ed è incredibile nuotare così vicino a questi giganti del mare, così maestosi e intoccabili. In uno dei tuffi vediamo una mamma sul fondale che gioca con il proprio cucciolo e i suoni che usano per comunicare tra loro sono così forti che anche i nostri corpi vibrano con essi mentre siamo in acqua. Alla fine della mattinata, siamo persone diverse da quando ci siamo svegliati. Quando Max e Lara ci raccontavano la loro esperienza e ci dicevano che è un’esperienza catartica quella di nuotare con le balene, li prendevamo in giro, dicendo che erano esagerati, ma adesso gli chiedo scusa perché sì, poter nuotare con queste creature è un’esperienza veramente catartica.
Oltre alle balene, il Kingdom of Tonga ci ha regalato grandi emozioni. Riassumo con qualche foto per non essere troppo pedante, ma vi lascio qualche chicca su questo arcipelago di isole veramente straordinario. Il Regno di Tonga è famoso per diversi primati: il primo, sono il paese con il tasso di obesità più alto al mondo, con il 60% della popolazione obesa. Secondo, sono il paese con il più alto rischio di catastrofe naturale, sono infatti in una zona sismica molto attiva, colpita abitualmente da tsunami di cui l’ultimo pochi anni fa, e anche da uragani. Terzo, sono uno dei pochi paesi al mondo, insieme al Giappone, a non essere mai stati amministrativamente colonizzati da altri paesi, cosa di cui vanno estremamente orgogliosi. Ultima chicca, essendo comunque un gruppo di isole abbastanza remoto e povero, i cibi in scatola o a lunga conservazione arrivano spesso giò scaduti sull’isola ed è così che facciamo esperienza di un pacchetto di Pringles del 2017 e altre sciccherie del genere.
Proviamo svariate strategie per cercare di convincere Agostino a rimanere con noi nel Pacifico, ma alla fine sale sull’aereo che lo riporterà a casa sua a Milano in sole 50 ore! È sempre difficile salutare le persone con cui stiamo vivendo questo progetto, perché ci piacerebbe che tutti continuassero a veleggiare insieme a noi. La prossima volta ci servirà una barca più grande.



Ma non c’è tempo per troppi pensieri, perché tra 10 giorni arrivano alle Fiji altri nostri amici, e così iniziamo a dirigerci verso nord, sperando di esplorare anche qualche nuova isola del gruppo delle Ha’pai, ma il tempo non ci viene incontro e per quattro giorni abbiamo solo vento, pioggia e onde. La navigazione non è semplice, perché le isole sono costellazioni di bassifondali, barriere coralline infinite, e ci tocca fare mille slalom tra isole e balene.
Riusciamo a fare il check-out all’isola Lotofoa nel gruppo di isole di Ha’paai e via, decidiamo che non vale la pena stare a ciondolare nella pioggia e così partiamo senza troppi indugi verso le Fiji, sperando che lì il tempo sia migliore. I giorni di navigazione seguono tranquilli, finalmente rientriamo nella zona dei Trade Winds e possiamo sfoggiare una Pole Dance come non facevamo da tempo. Max e Lara sono fantastici, non sempre si crea un’intesa con le persone che si incontrano lunga la strada, ma con loro è stato proprio così; si è creata una bellissima amicizia, forse anche perchè stiamo condinvidendo una scelta di vita, uno stile di vita che p quello del viaggiare, che non è un concetto scontato. Ne abbiamo parlato e discusso molto, in generale anch’io sto cercando le giuste parole per raccontare questa nostra esperienza che è diversa dall’essere in vacanza. Spero che il vento e le stelle mi daranno la giusta ispirazione per raccontarvelo. Comunque la forza di questa amicizia è stata nella condivisione di valori, gioie e dolori dell’essere viaggiatori.



Il nostro ingresso alle Fiji è degno di nota: infatti, arriviamo davanti al passaggio nella barriera corallina senza vento e senza abbastanza batteria per accendere il motore, e così, buttiamo in acqua il mitico Pedro (il dinghy) che ci traina fino alla baia più vicina, dove buttiamo l’ancora e ci prepariamo un bel brunch in attesa che i pannelli solari carichino le batterie per accendere il motore. La nuova squadra di terra si dimostra sul pezzo e in poche ore recupera una macchina e batterie nuove per cercare di far rivivere il motore. I giorni successivi sono allegri e scoppiettanti, tra cambi di crew, saluti, nuovi arrivi e simpatici burocrati fijiani, ma questa è tutta un’altra storia!
Bulaa ventosi dalle Fiji.
Bellissimo Mirta!...mentre ti leggo mi sembra di esser lì con voi, in quel pozzetto in mezzo al Pacifico, con i vostri amici a fare bisboccia, in acqua tra le balene che cantano...una natura selvaggia senza pari! Grazie Mirta per riuscire sempre a catapultarmi lì anche se siamo dall'altra parte del mondo, i tuoi racconti trasmettono grande emozione. Buon vento ragazzi
🌸💕🌶️
Che meraviglia, ti pensiamo molto! 🥰🥰🥰